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SAN
BIAGIO MALE'
di Franca Emanuelli e Angela Valentinotti |
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Le prime notizie riguardanti la chiesetta di S.
Biagio la indicavano come “capella
episcopatus”, dunque come edificio di
proprietà vescovile, e risalgono all’anno 1270,
anno in cui si trovava già in uno stato di quasi
totale rovina. Il Vescovo di Trento Egnone di
Appiano affidava provvisoriamente la gestione
della cappella con l’annesso latifondo al priore
dell’ospizio di Campiglio, l’anno successivo
veniva donata definitivamente all’istituzione di
Campiglio. Nel 1302 la chiesetta e il priorato
di Campiglio venivano esentati da ogni
giurisdizione civile e dal contributo di
qualunque balzello, nell’anno 1309 il
privilegio gli veniva tolto per essere
nuovamente restituito nel 1452. La famiglia
Thun, nel 1551, ne acquisiva i diritti e nel
1579, documenti pastorali, riportavano lo stato
di piena rovina in cui versava. Nel 1595 la
cappella passava di proprietà del Seminario
Vescovile. Una nuova visita nel 1672 ne
attestava lo stato di decadenza e nel 1695 la
situazione era addirittura peggiorata tanto da
interdirne il culto. Nel 1742 dei visitatori la
trovarono risistemata ma nel 1766 le condizioni
della cappella risultavano nuovamente
precipitate. La nostra chiesetta nel 1859 non
figurava più nelle mappe catastali austriache e
se ne perdeva memoria. |

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Ipotesi realizzata da Luca Webber di
come si poteva presentare la chiesetta
San Biagio ai pellegrini. |
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Scoprire che nel nostro
paese è esistita una così antica ed intrigante
chiesetta, di cui non vi è più traccia né memoria, ci ha
appassionati a tal punto da volerne approfondire la
storia. Spulciando tra polverose librerie e moderne
biblioteche, abbiamo ricostruito la storia ufficiale
degli eventi che hanno maggiormente interessato la
nostra chiesetta. Non appagati dalle sole letture
decidiamo di cercare testimonianze di coloro che vi
hanno dimorato. |
La signora
Bianca, nata e vissuta a S. Biagio fino al 1971,
racconta: “ricordo che nel “volt
dele patate” della Cesira vedevo un’acquasantarola in
pietra e che la Cesira trovava delle ossa nell’orto di
casa.”, rammenta inoltre: “Il mio papà mi
raccontava che la gente diceva che in quel luogo c’erano
dei frati, che la strada che arriva da Terzolas era
molto importante perchè era una via di
pellegrini, che nel bosco sopra i prati si teneva il
“mercato del bosco” e che il confine tra Malè e Terzolas
divideva in due la loro abitazione.”La chiacchierata con Bianca ha confermato molte
delle informazioni trovate sui vari libri,
stimolando ulteriormente la nostra curiosità e
caparbietà nel voler trovare prove concrete.
Determinati ci rechiamo dagli attuali
proprietari di S. Biagio spiegando loro i nostri
intenti. Alessio ci conferma l’esistenza di un
manufatto nella cantina, probabilmente
utilizzato in passato per dare il sale agli
animali. Ci accompagna nel “volt” dove ammiriamo
coi nostri occhi l’ambita acquasantiera. Esiste
veramente! E’ l’acquasantiera descritta da
Giuseppe Gabrielli in un articolo apparso in “La
Val”, XI (1983). I nostri sforzi sono stati
premiati. Con questo ritrovato manufatto
finalmente abbiamo la conferma materiale
dell’esistenza della “nostra” chiesetta
di S. Biagio. |

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L’acquasantiera descritta da Giuseppe
Gabrielli in un articolo apparso in “La
Val”, XI (1983). |
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Pietra
lavorata a mano rinvenuta sull’antica
via di pellegrinaggio, a forma di
parallelepipedo, con incisa sulla
sommità una croce latina patente. |
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Qualche giorno dopo il destino ci ha riservato
un altro gradito dono. Passeggiando lungo
l’antica via di pellegrinaggio, nei pressi della
Cappella di S. Biagio, notiamo una croce incisa
sulla sommità di una pietra. Come da copione la
puliamo dalla terra e dal fogliame attendendoci
l’ennesima croce di confine. Meravigliati
scopriamo invece che si tratta di una pietra
lavorata a mano, a forma di parallelepipedo, con
incisa sulla sommità una croce latina patente.
Osservando attentamente la pietra troviamo, su
tre lati, incise delle lettere: “M”-“T”-“IO”.
Dalle ricerche svolte scopriamo l’ipotesi
avanzata da Iginio Rogger. Lo studioso registra
che “la frequenza con cui ricorre in regione il
patrocinio di S. Biagio differenzia nettamente
l’area tridentina da quella delle diocesi
limitrofe, sono infatti ben diciassette le
chiese dedicate a questo santo nell’area
pertinente all’antica diocesi di Trento”. In
tutti i casi si tratta di chiese minori, prive
di antichi diritti parrocchiali, più quattro
località i cui toponimi ricordano l’esistenza di
chiese scomparse e la dedicazione a S. Biagio
della cappella palatina di Trento.
Alla luce di
questi dati Rogger ipotizza che l’agionimo San
Biagio possa marcare, a partire dal sec XI,
l’esistenza di castelli vescovili, disseminati
sul territorio con funzioni amministrative. Non
a caso adiacente alla chiesetta esisteva una
struttura castellana, oggi trasformata in maso.
Il nostro ritrovamento, alla luce di quanto
sopra esposto, può indicare la divisione tra
territori con competenze diocesane. |
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Analizzando l’attuale
abitazione che inglobava la chiesa e il contesto che la
circonda, possiamo ipotizzare che anticamente l’abside
della chiesa fosse esposta a Sud-Est e dopo il
rinascimento, periodo di grandi cambiamenti, la chiesa
sia stata letteralmente capovolta, cioè l’abside esposta
a Nord-Ovest. Esaminando l’edificio,
vediamo un arco, appartenente alla struttura originale
della chiesa ed ora murato ed in parte interrato,
analogamente troviamo un arco al maso sovrastante,
anch’esso parzialmente sotterrato. Non di meno a monte
delle abitazioni vi è un conoide di deiezione, cioè un
corpo sedimentario costituito da un accumulo di
sedimenti sceso a valle. Questo ci aiuta a dedurre che
in antichità una frana di notevoli dimensioni è scesa
dal monte sovrastante l’abitato, invadendo la chiesetta,
e probabilmente accelerando il definitivo abbandono. Quando l’edificio è stato
nuovamente riutilizzato come maso, i detriti all’interno
della chiesa sono stati gettati all’esterno delle mura
assieme alle sepolture che vi si trovavano, il pavimento
è stato ripulito e scavato in profondità rispetto
all’originale. Questo spiegherebbe il perché
l’acquasantiera si trova in posizione più elevata del
consueto e “le ossa che trovava la Cesira”. Altro punto saliente, da
tenere in considerazione, è che diversi studiosi tra la
fine dell’800 e gli inizi del 900 attestavano come il
priorato di Campiglio e conseguentemente la chiesa di
San Biagio, fossero gestiti dall’ordine dei Cavalieri
Templari, i quali avevano non pochi possedimenti in Val di Sole.
L’argomento verrà approfondito in un libro di prossima
pubblicazione. |

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Nel 1794 il
conte Giuseppe Innocenzo Thun ha donato
alla chiesa della Madonna di Loreto a
Piazzola, l’altare di San Giovanni che
si trovava all’interno della chiesa di
San Biagio. Nel 1802 donava la
campanella, da ciò si deduce che la
chiesa era provvista di campaniletto a
vela. |
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